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La depressione: riconoscere e affrontare il male del secolo

Il termine depressione è entrato a pieno titolo nel gergo popolare, anche per indicare comuni stati di tristezza più prolungati in reazione ad alcuni eventi difficili. Ma ciò non basta per fare diagnosi e, in questi casi, può non essere necessario un trattamento, in quanto potrebbero essere fisiologiche reazioni emotive.

Viceversa alcune condizioni possono essere segnali dell’instaurarsi di un vero e proprio disturbo, che se riconosciute per tempo, posso evitare il cronicizzarsi di una patologia invalidante e fonte di sofferenza. È quindi importante fare un po’ di chiarezza per capire quando è utile interpellare uno specialista per diagnosticare e trattare la depressione e quale tra queste figure sia quello maggiormente adatto, con l’aiuto della dott.ssa Laura Caccico, dell’Istituto di Psicologia e Psicoterapia Comportamentale e Cognitiva (IPSICO, Firenze).

Nel DSM – 5 (il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) i disturbi depressivi includono una serie di patologie di cui il Disturbo Depressivo Maggiore ne rappresenta la condizione classica. Le caratteristiche che li accomunano sono la presenza di umore triste, vuoto o irritabile, accompagnato da modificazioni somatiche e cognitive che incidono in modo significativo sulla capacità di funzionamento dell’individuo.

La persona che soffre di depressione, infatti, sperimenta umore depresso per la maggior parte del giorno, che viene descritto come tristezza, disperazione, scoraggiamento o “essere giù di corda”. Vi deve essere una marcata diminuzione di interesse o piacere, come la perdita di soddisfazione tratta dai propri hobby o in attività precedentemente considerate gradevoli, aspetto che può essere notato anche dai familiari.

Può esservi perdita o aumento di peso, diminuzione o aumento dell’appetito, tanto che alcuni possono riferire di doversi sforzare di mangiare. Nella depressione sono rilevabili anche disturbi del sonno, agitazione o rallentamento psicomotorio, mancanza di energia, sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi. Inoltre, i soggetti depressi riferiscono ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, indecisione, pensieri ricorrenti di morte e possibili pensieri suicidari. Questi ultimi variano da un desiderio passivo di non svegliarsi al mattino oppure dalla convinzione che gli altri starebbero meglio se la persona fosse morta, a pensieri transitori ma ricorrenti di suicidarsi, fino a un piano specifico per metterlo in atto.

La Depressione Maggiore può insorgere per la prima volta a qualsiasi età, ma la probabilità di esordio aumenta marcatamente con la pubertà. I dati dell’OMS e della Banca mondiale sul Carico di Malattia dicono che nel 2020 la depressione sarà la seconda malattia più onerosa (nel 1990 era al 4° posto) per il Sistema Sanitario. Infatti, la prevalenza della Depressione Maggiore nella popolazione di età superiore ai 14 anni è di circa l’8%, con valori massimi tra 30 e 49 anni (11.9%) e minimi oltre 60 anni (4.1%), senza differenze tra Nord Centro e Sud Italia. Le donne sembrano essere due volte più colpite rispetto agli uomini. Inoltre il Disturbo Depressivo Maggiore è associato a elevata mortalità, causata prevalentemente dal suicidio che, tuttavia, non è l’unica causa. Il decorso del disturbo depressivo maggiore è abbastanza variabile, in quanto alcuni individui non raggiungono mai, o solo raramente, la remissione mentre altri vivono molti anni con pochi o nessun sintomo tra i diversi episodi.

Le cause della depressione possono essere individuabili nell’interazione tra diversi fattori:

  • fattori biologici che riguardano cambiamenti nella regolazione dei neurotrasmettitori quali la serotonina e la noradrenalina.
  • Fattori genetici e fisiologici. Ad esempio i familiari di primo grado di individui con disturbo depressivo maggiore hanno un rischio di sviluppare il disturbo da due a quattro volte maggiore rispetto alla popolazione generale. L’ereditarietà del disturbo è circa del 40%.
  • Fattori ambientali e psicosociali. Esperienze infantili avverse, costituiscono un importante fattore di rischio, così come eventi di vita stressanti che possono fungere da fattori precipitanti gli episodi depressivi quali lutti, operazioni coniugali, malattie fisiche ecc…

Abbiamo visto quali sono le caratteristiche della depressione e le possibili cause, ma affinché si sviluppi e si mantenga un Disturbo Depressivo devono concorrere una serie di elementi che spiegheremo grazie ad un modello cognitivo comportamentale: partendo dal presupposto che la predisposizione genetica e biologica è un terreno fertile sul quale la depressione può innestarsi, solitamente vi sono incidenti critici o eventi stressanti (perdita del lavoro, difficoltà sentimentali ecc…) che fungono da fattore scatenante.

Inoltre, quando la persona ha fatto esperienze di vita particolari e ha avuto un certo tipo di educazione si forma idee implicite su di sé (ad es. “sono inadeguato”) sugli altri (“non mi vogliono”) e sul mondo (“non c’è speranza”) che se sono rigide, catastrofiche ed estreme e non aiuteranno a superare l’evento critico accorso, ma porteranno all’instaurarsi di una serie di circoli viziosi. Infatti, queste convinzioni implicite portano ad una serie di sintomi comportamentali (riduzione delle attività, isolamento), motivazionali (perdita di interesse, inerzia), emotivi (ansia, senso di colpa, tristezza), cognitivi (indecisione, scarsa concentrazione), fisici (inappetenza, insonnia) e metacognitivi (rimuginio e ruminazione) che rinforzano ulteriormente lo stato depressivo, indipendentemente dall’evento critico.

Per esemplificare pensiamo ad una persona che ha avuto un’infanzia in cui la madre era depressa e da cui ha appreso che il mondo è senza speranza e che gli altri non sono disponibili (assunti di cui non è consapevole). All’età di 42 anni le viene imposta la cassa integrazione dall’azienda dove lavora che è in difficoltà economiche. Quando le viene data la notizia la persona, scioccata, inizia un periodo in cui rimugina sulla situazione (“cosa farò?” “È tutto finito…sono inutile”), non dorme, non mangia, evita le relazioni con gli altri. Con il passare del tempo si rinchiude in casa e sta a letto tutto il giorno, in quanto il suo umore è deflesso e non ha voglia di fare niente… Quindi un evento scatenante viene interpretato catastroficamente, portando a depressione e reazioni fisiologiche che a loro volta aumentano le interpretazioni catastrofiche, secondo un circolo senza fine.

Fortunatamente il medico di base a cui si era rivolta per avere un aiuto farmacologico le consiglia di seguire un percorso terapeutico cognitivo comportamentale per la depressione di cui di riportiamo sinteticamente i diversi step:

  • Innanzitutto, il terapeuta svolge un’accurata valutazione del paziente per comprendere sia le convinzioni implicite della persona apprese durante la sua infanzia (per poi modificarle o eliminarle), sia come si sono instaurati i circoli viziosi depressivi nel presente.
  • Si procedere poi con una fase di psicoeducazione per spiegare come funziona la depressione, le cause, i sintomi specifici, come si forma il circolo vizioso e come si mantiene. Questa fase è fondamentale per normalizzare l’esperienza depressiva e per far sì che il paziente diventi l’esperto di se stesso e del suo disturbo.
  • Dopo queste fasi iniziali si interrompono le spirali depressive partendo dalla riattivazione comportamentale: si riducono gli evitamenti, si aumentano gradualmente le attività piacevoli che possano far sperimentare un senso di soddisfazione personale.
  • Il lavoro poi si sposta sugli aspetti cognitivi dove terapeuta e paziente individuano i pensieri disfunzionali e le credenze relative a sé, gli altri e il mondo per metterle in discussioni e trovarne di alternative.
  • Parallelamente vengono apprese tecniche utili ad affrontare la depressione nel qui e ora, quali il problem solving, gli esercizi di rilassamento o tecniche mindfulness based dai più recenti approcci di terza generazione.
  • Infine si lavora sul rimuginio e sulla ruminazione per imparare a riconoscerle e interromperle. La terapia si conclude ripercorrendo le tecniche apprese utili alla prevenzione delle ricadute.

L’approccio che riportiamo in questo articolo non è casuale. Le evidenze scientifiche in merito alla Terapia Cognitivo Comportamentale sulla depressione sono molteplici e ci dicono che la TCC è efficace quanto i triciclici nel trattamento della depressione, ma che è più efficace ad un anno di distanza nella prevenzione delle ricadute. L’effetto protettivo della TCC è manifesto a 4 anni dal temine della terapia.

Inoltre secondo le linee guida NICE, la TCC è raccomandata quando:

  • la depressione è di grado lieve-moderato;
  • non vi sono sintomi psicotici o grave compromissione cognitiva;
  • la depressione non è profondamente cronica;
  • il paziente richiede espressamente una psicoterapia ed è motivato ad intraprenderla;

Infine vorremmo fornire qualche consiglio utile ai lettori (che ovviamente non possono sostituire la Terapia Cognitivo Comportamentale), per affrontare questi momenti di tristezza prolungata, reattivi ad un evento specifico che possano essere spunto e motivo di riflessione sulla necessità di intraprendere un percorso terapeutico con il professionista o l’istituto cognitivo comportamentale più competente in materia.

  • Quando pensiamo alle attività che svolgiamo durante la giornata possiamo dividerle in due categorie: Attività Utili e Attività Piacevoli. Per interrompere il circolo vizioso comportamentale depressivo un primo suggerimento sarebbe quello di pensare alle Attività Piacevoli come una parte importante della nostra vita e riequilibrare il rapporto tra i due tipi di Attività. Per fare ciò potreste aiutarvi nell’individuare una lista di Attività Piacevoli (anche semplici come fare un bagno caldo o una telefonata a un amico) e inserirle regolarmente nella vostra routine quotidiana.
  • Un secondo consiglio è apprendere la tecnica del problem solving (i cui punti fondamentali sono facilmente rintracciabili anche su internet) al fine di risolvere quei problemi che portano al mantenimento di un umore depresso.
  • Trovare spiegazioni e pensieri alternativi a quelli negativi che solitamente emergono nella nostra mente: ad esempio se penso che “è tutta colpa mia”, posso trovare spiegazioni alternative come “forse ho sbagliato, ma non tutto è dipeso da me” e elencare cosa non lo è per avere una maggiore obiettività della situazione.
  • Infine per comprendere se stiamo rimuginando è possibile porsi delle semplici domande: perché sto pensando a questo? Questi pensieri mi aiutano a risolvere la situazione? Le mie idee sono più chiare ora o mi sembra di avere un disco rotto dentro la testa? Mi sento meglio ora rispetto a quando ho iniziato a pensare in questo modo?

Se tutte le risposte sono negative allora stiamo rimuginando, ma sappiamo che la rimuginazione è un’abitudine che si può cambiare, magari sostituendola con attività più piacevoli.

Pamela: Blogger di tecnologia, viaggi ed economia. La mia passione per la scrittura mi ha permesso di intraprendere l'attività di gestione portali web che porto avanti dal 2010.
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