Per minare Bitcoin ormai servono non solo potenze di calcolo elevate, ma anche tanta energia, tanta quanta ne serve ad uno Stato USA come l’Ohio. Questo è quanto, in accordo con quanto è stato riportato da Repubblica.it, ha dichiarato, nel corso di un’audizione al Senato degli Stati Uniti, un ricercatore dell’università di Princeton.
Come funzionano le fabbriche di Bitcoin
Per estrarre la criptovaluta ci sono sparse nel mondo vere e proprie fabbriche di Bitcoin che, secondo il ricercatore dell’università di Princeton, che è esperto nel campo dell’ingegneria informatica, hanno complessivamente raddoppiato il consumo di energia rispetto a poco più di un anno fa.
Dal punto di vista hardware, per estrarre i Bitcoin le fabbriche di criptovaluta impiegano decine, spesso anche centinaia di computer potenti che sono dotati di schede video di ultima generazione al fine di poter processare i dati il più velocemente possibile.
Rischio blackout con estrazione criptovalute?
Su queste basi, il ricercatore stima che attualmente per il mining delle criptovalute si consumi giornalmente ben l’1% dell’elettricità mondiale. Il che significa che non solo le monete virtuali decentralizzate sono energivore, ma potrebbero creare in futuro pure seri problemi di approvvigionamento di elettricità ed anche blackout nei casi e nelle situazioni più gravi.
Inoltre, dall’analisi del ricercatore dell’università di Princeton è emerso che più il prezzo di mercato del Bitcoin sale, maggiore è il consumo di energia per l’estrazione considerando che le batterie di computer non solo devono essere alimentate, ma anche raffreddate visto che sono sempre sotto sforzo in termini di potenza di calcolo ed uso della scheda grafica.